Se le newsletter del futuro saranno senza dati, bisognerà guadagnarseli

Il 96% delle persone non vogliono farci sapere se aprono le nostre newsletter. Come faremo adesso?

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Tra le tante novità, ve ne sono alcune (tre in particolare) che riguardano strettamente l’email marketing e la privacy. Ma con questo articolo affronteremo le implicazioni di una sola delle tre: quella gratuita e immediatamente disponibile con l’aggiornamento del software: “Mail Privacy Protection”.  Perché ce ne dovrebbe importare?  

Ha senso parlarne per due ragioni:

  • in Italia iOS ha una diffusione stimata pari a quasi ¼ della popolazione (fonte: https://gs.statcounter.com/os-market-share/mobile/italy)
  • dal rilascio dell’aggiornamento, sono necessarie poco più di 6 settimane affinché la quasi totalità dei clienti Apple scarichi l’ultima versione disponibile

C’è anche una terza ragione che ha più a che fare con la sensibilità dimostrata dalle persone verso il tema della privacy: con iOS14 Apple ha iniziato a chiedere agli utenti se desideravano essere tracciati nelle loro attività e, al momento, il 96% ha risposto “No” (fonte: https://appleinsider.com/articles/21/05/07/only-4-of-ios-users-in-us-are-opting-in-to-ad-tracking-report-says)

Insomma, gli effetti di “Mail Privacy Protection” si faranno sentire (anche se circoscritti all’uso delle email tramite l’applicazione di default del sistema operativo Apple: Mail); dipenderà certo dalla dimensione e della composizione della lista di iscritti dalla newsletter, ma si faranno sentire.

In concreto, cosa succederà?

Tralasciando i tecnicismi, ecco quali informazioni saranno fuorvianti o non più disponibili:

  • non sarà più disponibile l’informazione degli indirizzi IP, utile per campagne geolocalizzate
  • non sarà più disponibile l’informazione del device utilizzato e quindi avrà meno senso parlare di desktop e mobile: dobbiamo tornare a ragionare per un unico scenario (il mio consiglio è concentrarsi sul mobile passando quindi dall’approccio mobile-first a mobile-only)
  • il dato dell’apertura, così come l’orario e il giorno, non sarà più accurato e consistente

Perdiamo anche due buone pratiche:

  • il resend, ovvero inviare una seconda volta la medesima email a chi non ha aperto la precedente (da settembre in poi, per alcuni utenti Apple, non sapremo però se l’apertura è davvero successa ad opera di un essere umano)
  • l’attività di pulizia periodica della lista (per migliorare la reputazione – algoritmica – di mittenti) andando a disiscrivere manualmente chi si è dimostrato meno coinvolto dalle nostre comunicazioni via email

Una buona pratica acquisisce invece ancora più importanza: il double opt-in (ovvero il processo per cui una persona deve confermare la propria volontà di ricevere una newsletter cliccando su uno specifico pulsante).

Così come un indicatore chiave di performance guadagna crediti per affermarsi tra le principali metriche: il tasso di clic (il click rate).

Ma senza open rate, ora come si fa?

Questo punto è quello che sta facendo più discutere la comunità di chi lavora in ambito email marketing: l’open rate.

Va fatta una premessa: l’open rate è sempre stato “falsato” sia in positivo che in negativo: una persona può decidere di disinibire il download automatico delle immagini (e dei pixel di tracciamento) contenute in una email (e quindi leggerla senza far capire al software di averla letta) oppure dotarsi di sistemi che verificano la bontà della mail prima ancora che questa venga effettivamente scaricata nel client di posta (facendo intendere al software di email marketing che la mail è stata letta quando, invece, non è così).

Consapevoli di questi limiti, l’open rate è storicamente stata una metrica importante.

Ma se da una parte in alcuni ambiti può essere vista come una “vanity metric”, ovvero una metrica che ha un risvolto quasi inesistente sul business dell’azienda, in altri casi, come l’editoria, tale indice è effettivamente centrale per determinare, ad esempio, la bontà della lista di iscritti e, di conseguenza, il valore economico che può essere associato agli spazi pubblicitari contenuti nella newsletter.

Quindi l’impatto è più o meno grande a seconda del modello di business e di quanto il medesimo sia influenzato dall’open rate.

Faccio due esempi:

  • la newsletter serale de IlPost.it ha l’obiettivo di dare un aggiornamento veloce rispetto a ciò che è successo nella giornata che sta per concludersi ma, così ricca di link verso gli articoli de IlPost.it stesso, ha anche l’obiettivo di veicolare traffico al sito web. Se ci concentriamo su questo secondo aspetto, è naturale che in redazione saranno meno preoccupati di un andamento anomalo del tasso di apertura
  • la newsletter mattutina di Good Morning Italia ha il medesimo scopo: dare un aggiornamento di ciò che è successo ieri. In questo caso, però, non sussiste un obiettivo di generazione di traffico verso il proprio sito web perché ciò che fa la redazione è, invece, offrire l’approfondimento direttamente indicando le fonti: Repubblica+, New York Time, Financial Times, … La redazione di Good Morning Italia, rispetto a quella de IlPost.it, avrà sicuramente posto più al centro della loro strategia di email marketing il valore dell’open rate e le loro valutazioni future si baseranno su un dato meno consistente e di cui fidarsi

Per settembre 2021, Apple renderà disponibile a tutti i suoi utenti l’aggiornamento del sistema operativo per dispositivi mobile giunto alla sua quindicesima versione: iOS15.

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E quindi cosa si deve fare dal rilascio di iOS15 in poi?

Ho individuato principalmente due aspetti – anche se credo che gli sviluppi rispetto a tale tematica continueranno per i mesi a venire: uno a livello di strategia e uno a livello di misurazione.  A livello strategico, introdurrei due “nuovi” obiettivi:  

  • vanno individuate o create delle opportunità per far svolgere delle azioni (clic) sulla newsletter: far esprimere una valutazione numerica sui contenuti della mail, far partecipare a sondaggi/contest, adottare quello che in email marketing viene denominato come “Centro delle preferenze” per lasciare le persone esprimere le proprie, appunto, preferenze rispetto, ad esempio, alla frequenza di ricezione piuttosto che agli argomenti di cui vogliono ricevere aggiornamenti
  • sempre rispettando le linee guida della GDPR, darsi l’obiettivo di profilare progressivamente la lista degli iscritti alla newsletter nell’ottica di passare dalla vendita di spazi pubblicitari basandosi sul numero di iscritti all’adozione di una valutazione della lista supportata dalla profondità e dalla possibilità di segmentazione dalla lista stessa; facendo un parallellismo, anche il costo della pubblicità su Google e Facebook è aumentato negli anni perché queste due realtà erano in grado, anno dopo anno, di veicolare il messaggio verso utenti sempre più segmentati e quindi potenzialmente interessati al messaggio stesso

Da un punto di vista più analitico, credo che debbano essere contemplate delle “nuove” metriche affinché si riesca a dare una valore (anche economico) più reale alla lista di iscritti (e quindi agli spazi pubblicitari contenuti nelle email); non a titolo esaustivo ma per lanciare alcune proposte, alcune esempi:

  • calcolare quale percentuale della lista, alla luce del consenso raccolto lato GDPR, può essere speso per creare segmenti personalizzati e pubblici simili su altre piattaforme
  • calcolare profondità della profilazione immaginandone tre livelli: dati demografici, dati comportamentali (preziosi ma, essendo basati su cookie, destinati a perdere un po’ di valore sul lungo periodo), dati rispetto agli interessi e alle preferenze, dati di conversione (azioni fatte, prodotti acquistati), andamento temporale dei trend di crescita e decrescita.

Come tutte le novità con un certo impatto, la prima sensazione è di stabilizzazione e del dover ripensare a meccanismi che, tutto sommato, funzionavano. Ma passato questo prima sentimento, tendo a vederla come un’opportunità che spinge a migliorarsi, che magari consentirà a qualche azienda di battere sul tempo (con tutti i benefici che ne derivano) i propri competitor e, anche se viene da un’azienda privata (Apple), che si incentiva a mettere sempre più al centro la privacy, e il rispetto della stessa, dei nostri clienti.

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